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UMANITA'
Trilogia in atto unico

Gianluca Marziani


Il primo contatto avviene con la modulazione sintetica delle zone luminose. Arrivi da lontano e vedi alcuni lightbox che rimettono l’essere umano al centro dello sguardo. Visioni nette ma anche morbide, al confine tra l’impatto dei perimetri rossi e la flessibilità ottica dei livelli sottostanti. Appena entrato nello studio di Pier Paolo Bandini mi è accaduto così: le opere si sono disvelate come rivelazioni di luce narrativa, fagocitando lo spazio circostante con la loro diamantina energia compositiva. Le avevo già intraviste via Email ma era il tipico caso in cui la visione diretta ha aggiunto il valore del completamento. Il nostro viaggio parte da qui: ventotto lightbox, diversificati per dimensione, divisi in due chiavi cromatiche, che raccontano una visione interiore nata da uno spunto tematico.

Ripartiamo dallo spunto generale su cui ha preso forma il progetto per Palazzo Valentini. L’argomento, oggi al centro di una moratoria internazionale, riguarda la pena di morte, il più antidemocratico dei rituali legislativi nel mondo odierno. Così deprecabile da rendere barbarica qualsiasi risposta in suo favore: soprattutto quando ribadiamo di essere figli del Rinascimento, dell’Illuminismo, della Rivoluzione Francese. Fin qui si troveranno d’accordo tutte le persone con un minimo di coscienza civile, nulla da aggiungere contro la più immorale delle condanne legali. Rifletterci con la sottigliezza del rito artistico è invece altra questione, da non vincolare ai temi didascalici del puro documento o della facile provocazione. Per Bandini affrontare l’argomento significava ribaltare la riflessione a favore della centralità umana in senso metastorico. Non parlando di morte ma di continuità transepocale, di passaggio e dialogo influente tra momenti significativi nella storia dei popoli. Pensate abbia ancora senso narrare la pena capitale attraverso l’atto voyeuristico della morte al lavoro? Descrivere il macabro rituale tramite l’enfasi dei passaggi? La grandezza dell’arte riguarda la capacità di andare oltre il documento oggettivo, abilitando la percezione all’estasi della scoperta, del dato inaspettato che diviene interpretazione personale del messaggio. L’arte è ancora la madre del punto interrogativo, creatrice di necessarie domande con cui aprire le porte della conoscenza. L’opera rimane la matrice del dubbio amletico, lo sguardo plausibile che isola particelle di mondo per farne utili vivisezioni morali. Ecco, Pier Paolo Bandini ha percorso la strada sensibile del conflitto interiore che incontra il lampo estetico. Ha scelto la sedimentazione della conoscenza, elaborando una struttura figurativa che comunicasse in modo diretto ma anche parcellizzato.

Quando dicevo che il primo impatto avviene con la modulazione sintetica delle zone luminose, pensavo alla qualità comunicativa dell’opera. Hai da subito un’empatia che ti avvicina alla struttura generale del lavoro. Da lì scatta il momento successivo, quello in cui la comunicazione si apre verso l’interno, verso gli strati sottostanti (sia in termini formali che concettuali) e le loro ulteriori ramificazioni. La composizione, a proposito di immediatezza percettiva, rilegge quei modelli rinascimentali in cui la figura umana dominava la prospettiva scenica. Bandini evita, infatti, qualsiasi dispersione ottica, tutto ruota attorno al messaggio che la figura interpreta con la sua postura, il suo sguardo, i suoi modi e dettagli. In uno scenario leonardesco dove l’uomo è la misura di tutte le cose, ecco che l’attinenza tecnologica non toglie ma offre alla memoria (il Rinascimento) la complessità del presente. Un approccio digitale che si conferma morbido nelle stesure cromatiche e nei frangenti luministici, spiegando come la comunicazione semantica si orienti sui piani stratificati dell’opera, verso il suo cuore nascosto ma ascoltabile. L’elettronica, ad esempio, aggiunge la possibilità di sovrimpressione che la pittura manuale non potrebbe ricreare in modo volumetrico. Lo strumento tecnologico ha poi un particolare approccio cromatico, frutto di interazioni tra chimica e fisica, dati sensibili e anomalie mistiche. Lo stesso montaggio dentro casse più strette dei tipici lightbox, deriva da una coscienza estetica che cura la forma in termini etici, non lasciando nulla al caso o al completamento solo decorativo.

Pier Paolo Bandini esordisce nel mondo espositivo dopo un lungo viaggio interiore, una traversata in solitudine in cui non ha mai smesso di sperimentare e sperimentarsi. Fin dai progetti embrionali emergono i caratteri biologici della sedimentazione, dell’analisi stratificata sopra le forme della percezione. Passando dagli automatismi del disegno ad una pittura di maggior controllo gestuale, da opere di matrice astratta ad una figurazione di archetipi simbolici, l’artista romano giunge al presente ciclo con la chiarezza del percorso (privatamente) effettuato e la sintesi del giusto obiettivo. Gli stessi lightbox uniscono caratteri manuali e tecnologici con calibrature alchemiche, dando al proprio metabolismo espressivo una delineata architettura complessiva. 

Primo passaggio: il primitivismo neolitico
Il dato iniziatico passa per alcuni disegni di epoca neolitica, presi dal sito archeologico del monte Latmo nella Turchia occidentale. Come non tutti ricorderanno, il Neolitico è il prologo della coscienza moderna, battesimo di una plausibile dimensione familiare tra vita agricola e struttura sedentaria. Nasce qui l’idea di una collettività relazionale, fatta di comuni riferimenti e organizzazione pratica. Ed è anche l’inizio di una comunicazione visuale dove l’essere umano cattura il centro dell’immagine, sorta di autocoscienza basica in cui l’uomo si sente protagonista di un sistema dinamico. Per Bandini il disegno primitivo denota l’ossatura del quadro, trasformandosi in una colonna vertebrale che regge il corpo solido del Rinascimento e la fluidità virtuale del presente. Sono gli stessi segni a sembrare forme ossee dalle connotazioni antropomorfe, ribadendo la necessità di fondamenta elastiche ma dalla natura granitica. 

Secondo passaggio: il Rinascimento
Nella composizione dei tre livelli è questa la figura di maggior pienezza strutturale. Bandini ha selezionato immagini che sono gli archetipi della pittura rinascimentale, un corpo vivo su cui scorre il sangue tecnologico del terzo passaggio. Ecco la Madonna e il Cristo come principali soggetti di un’iconografia sacrale che ha raccontato le ambizioni sociali, la qualità animistica, il potere politico, la coscienza civica e il rigore filosofico di un’epoca determinante. Ai due cardini figurativi della cristianità si aggiunge l’icona di San Sebastiano, oggetto di varie interpretazioni che ridanno il vero spessore simbolico del personaggio. Lungo i lightbox si alternano crocifissioni, resurrezioni, flagellazioni, annunciazioni, assunzioni, vergini col bambino… le tipiche tematiche rinascimentali che Bandini ha raccolto lungo lo studio di maestri e artisti minori, cercando quei particolari con cui il gesto umano non perde le sue virtù eternamente contemporanee.

Terzo passaggio: la contemporaneità
Il terzo livello visualizza nel rosso luminoso la forma umana del presente. Culturisti, modelle, sportivi, cantanti, manager, bellezze sensuali e altri archetipi di un palcoscenico mediatico che mette in mostra la sua superficiale ma anche onesta bellezza. Inutile e deleterio offrire valutazioni moralistiche, altrettanto inutile fare paragoni tra la potenza di un’epoca lontana e la realtà del nostro mondo. Conta la coscienza del proprio status, l’analisi veggente che agisce attorno agli stilemi morali di un periodo. Il rosso unisce le varie figure come fosse un sangue dallo scorrimento omogeneo. Simboleggia la cultura elettronica dei led, la città notturna dei neon ma anche la malattia che nel sangue trova oggi un continuo spazio d’azione. 

La somma dei tre livelli ricrea una trilogia in atto unico dalle mature evocazioni etiche. Non era semplice amalgamare certe differenze con armonica orchestrazione plastica. Scorrendo pezzo per pezzo, si comprende il dialogo tra le immagini sovrapposte. Le posture si completano senza mai sovrapporsi in forma di doppio, i gesti anche diversi hanno una loro comunicazione sottile, ora più intima ora più manifesta. I livelli agiscono per contrasto o completamento, lungo dissonanze e armonie che inventano narrazioni metastoriche, cortocircuiti emotivi, provocazioni intelligenti. Le pose tra Rinascimento e presente, benché distinte nell’apparenza dei gender, confermano la continuità della memoria e il passaggio ereditario di informazioni che si trasformano in cultura. Non esiste alcun sacrilegio nell’accostare una Madonna ad una modella. Ai tempi della Firenze medicea, diverse fanciulle prestavano il proprio viso alle talentose pennellate dei pittori di corte. Impersonavano un simbolo in cui credere o meno, attribuendo all’icona un valore mistico che superava, e ancora supera, qualsiasi impatto realistico. Oggi vediamo ragazze di altrettanta bellezza che incarnano le icone di una società mercificata, creando mitologie del quotidiano a cui aderire o dissentire. Non scordiamoci che la più grande popstar vivente ha preso in prestito nome e simbologie religiose per ridarci la più popolare madonna laica dei nostri giorni. Questo è il presente: coi suoi valori morali, le sue incoerenze, i suoi deturpamenti e la sua decadenza. Ma anche con le sue spinte scientifiche, le sue utopie realizzate, i suoi ingegni e talenti individuali. Prendere o lasciare, abbiamo il mondo che ci siamo edificati giorno dopo giorno, talvolta capendo in giusto anticipo, altre volte (vedi i gravi problemi ambientali e climatici) sbagliando le tempistiche che salvaguardano il culto della vita.

Quasi trenta opere ci raccontano un tema, quello della pena di morte, con l’intelligenza elusiva che l’arte deve mantenere al centro del suo essere. Il messaggio di Bandini parla di umanità come motore dell’armonia globale: non è un caso aver connesso tre epoche lontane su uno stesso modello formale, a ricordarci che le distanze si amalgamano attraverso il dialogo e la conoscenza. Non esistono conflitti insanabili, anche perché la stessa idea di lotta è una mistificazione che nasce da derive strumentali. Ad esistere da sempre è il valore della scoperta e dell’esperienza, del legame con il passato per edificare un futuro a misura di presente. La pena di morte si affronta così, con la celebrazione del dialogo in una vita di contrasti sanabili. Funziona, in particolare, la scelta di un oggi dove i soggetti recitanti sono i piccoli e grandi miti popolari, i riferimenti di un desolante baratro televisivo, le figure un pochino ridicole ma anche le icone oneste e talentose dello sport: al dunque, in un intreccio di bene e male dai confini variabili, ecco l’umanità che celebra gli oceani limpidi e le paludi stagnanti di un’intera epoca. Non si tratta di distinguere tra eroi buoni o cattivi, giusti o sbagliati, belli o brutti; al contrario, il racconto su un presente collettivo deve corrispondere al flusso indistinto, talvolta stonato, tra figure che sono il riferimento per gruppi, comunità o grosse fette generazionali. In fondo, i santi e le madonne erano gli eroi popolari ma anche i messaggeri quotidiani di un’epoca che si cibava di affreschi, sculture e molta cultura orale. Oggi viviamo gli anni della comunicazione multiforme, a misura di specifiche esigenze e classi culturali (le classi sociali sono ormai un concetto indistinto). La vita si esprime (anche) nei tipi umani che l’artista ci racconta con quel rosso elettronico. Figure vive che riaffermano il valore imprescindibile della libertà. La libertà di provare, sbagliare, riprovare, riuscire… La libertà di scegliere tra certa cultura massificata e un diverso viaggio interiore… La libertà di conformarsi o di sganciarsi dagli usi collettivi… La libertà di non stare soltanto verso il bianco o il nero ma anche nelle zone intermedie, contaminate, meticcie… La libertà di essere incoerenti e coraggiosi, conflittuali purché onesti e credibili.

L’equilibrio tra libertà e cultura agisce sullo sguardo, sui modelli relazionali, sull’educazione civica, sull’amore per il prossimo. Solo così la pena di morte può lasciare spazio al culto della vita. Solo così uomo e natura possono ristabilire il dialogo che spesso si tende a dimenticare. L’arte visiva aiuta questa tensione allo scatto in avanti, alla magìa dentro il buio, alla luce che non ci lascia confondere. L’arte di Pier Paolo Bandini scrive il suo punto interrogativo davanti ad un mondo che cerca ossigeno.