Intervista di Irmela Heimbächer a Pier Paolo Bandini in occasione della mostra "Backbone" da Monty&Company del 2010.

Domanda:  Quando e come è nata l'idea delle tue sculture?
Risposta: L'idea è nata circa due anni fa, lavorando su una ipotesi a me cara quale la trasformazione, nel caso specifico esercitata dalle incidenze sociali sulla nostra mente.
La prima immagine che ho visualizzato è stata una colonna vertebrale, protezione del midollo spinale, che trasmette stimoli e  informazioni tra encefalo e corpo e viceversa.
Questo tratto della nostra anatomia mi sembrava adatto per una ricerca sui mutamenti  del corpo riguardo alla mente e agli input culturali.
Da qui ho costruito un ipotetico mutante a partire da una colonna vertebrale molto sviluppata e ramificata, associando prodotti di largo consumo, soprattutto quelli  per la cura del corpo.

Domanda: Che cosa è per te la scultura?
Risposta: Consente di toccare con mano le proprie visioni, mi esprimo con diverse tecniche ma la tridimensionalità della scultura regala un piacere fisico.

Domanda: Perché uomo/donna? Tra concreto e astratto? Reale e irreale? Repliche e ripetizioni?
Risposta: Rappresento uomo e donna che, in divenire, perdono le loro differenze anatomiche. Infatti, nelle sagome in ferro arrugginito, l'uomo e la donna sono riconoscibili attraverso le differenti forme corporee: uomo più grande a vita dritta, donna più minuta a vita stretta. Il soggetto mutante è rappresentato da un'ampia colonna vertebrale che si ramifica in varie direzioni, sia per l'uomo che per la donna che ora non palesano più alcuna differenza sessuale. Nel nuovo organismo la diversità di genere viene percepita solo nella fisionomia del volto del manichino.

Domanda: Quali sono i materiali che hai usato per le tue sculture?
Risposta: I materiali sono costituiti da ferro arrugginito per la parte posteriore; davanti teste di manichino e prodotti commerciali per la cura, igiene e bellezza del corpo: medicine, vitamine, cerotti, disinfettanti, spray cicatrizzanti, protezioni solari, deodoranti, dentifrici, smalti, rossetti, rimmel.

Domanda: Le loro dimensioni?
Risposta: Le dimensioni delle statue sono a grandezza d'uomo più pochi centimetri che le sollevano da terra.


Domanda: Ti ricordi quando abbiamo visto le tue sculture per la prima  volta? L’impatto era molto forte. Il messaggio, se cè, vuole essere una critica al consumismo, allo spreco, all’abbondanza, certo è che le tue sculture così come concepite, sarebbero impensabili 20/30 anni fa.
Risposta: Dubito di un’arte che voglia dispensare messaggi, rischia di essere vuota e noiosa. In queste sculture, dove è forte l'utilizzo di prodotti commerciali di massa, che invadono e sostituiscono il corpo, sorge spontaneo leggere una critica al consumismo e allo spreco. E' un'interpretazione pertinente, ma che va oltre le intenzioni e non appartiene alla mia spinta originaria. Sono certamente calato nella realtà in cui vivo con i suoi problemi e le sue contraddizioni e questa entra nei miei lavori ma non al punto da farli diventare portatori di messaggi di denuncia. Mi interessa realizzare lavori che rispecchiano il mondo, di aderire a verità e aspetti della vita e di svilupparli con l’obiettivo di stimolare diverse corde, ma la critica sociale è l’ultima di queste. Perseguo un’opera carica di un contenuto che abbia un senso in relazione alla condizione umana, senza farla diventare uno strumento di ammonizione, senza la pretesa di voler far riflettere. Nel sviluppare un lavoro verifico che questo risponda inizialmente a due requisiti: che affondi le radici della mia esperienza più significante, e che questa trovi rapporti con il mondo esterno: un vissuto interiore trasferibile a eventi che riguardano la collettività. 
In un fase della mia vita, è venuta meno la percezione del mio corpo, una sensazione simile al non esistere, esperienza di un mio vissuto profondo, che poi ho rivisto e trasferito in un corpo sociale che appare, in certi strati culturali, anestetizzato, svuotato, distante da se. Da qui le sculture Backbone. 
L'operazione, direi più ironica che critica, è stata quella di imputare la “perdita” del corpo a prodotti commerciali il cui scopo avrebbe dovuto essere la cura dello stesso.
 Un corpo, non più umano, paradossalmente sostiuito dagli stessi prodotti pensati per proteggerlo, curarlo, mantenerlo, abbellirlo. 
Da ultimo, la critica può essere rivolta all'utilizzo indiscriminato dei beni di consumo, così come al rapporto che abbiamo con il nostro corpo e all'utilizzo delle nostre risorse interiori, inserite in un habitat sociale a volte contrario ai più essenziali bisogni umani.



Domanda: L'arte può cambiare le cose? Sei pessimista?
Risposta: L'arte nella fase creativa gode di ampie libertà, ma poi anch'essa dipende da un insieme di regole e relazioni. La possibilità di cambiare le cose dipende dal lavoro dell'artista come dalle intenzioni del fruitore, non ultimo dal sistema dell’arte. Rimane tuttavia una competenza umana, dunque non fa miracoli. Pessimismo e ottimismo sono atteggiamenti che non mi appartengono.